parole e immagini



Fin da bambini abbiamo imparato o meglio avremmo dovuto imparare, a sviluppare una delle facoltà di giudizio apparentemente più semplici e ad emettere con sufficiente sicurezza la sentenza: « Mi piace - Non mi piace ».

Ben altre difficoltà comporta esprimere un giudizio di “ bello – non bello ” per le implicazioni di ordine estetico-filosofico-culturali insite nella valutazione del “bello” come “intrinseco-oggettivo-soggettivo.”

L’empatia è un’altra facoltà primordiale ereditata alla nascita ma quante persone possono dichiarare di averla nutrita abbastanza da svilupparla fino a “ viverla pienamente” nei rapporti quotidiani?

Dell’esattezza o meno di un nostro giudizio empatico si può trovare conferma solo nella sincerità di chi abbiamo davanti o un flebile riscontro nel suo comportamento reale (non filtrato da una nostra interpretazione). Se l’empatia non è matematica, se le conclusioni non sono certe, se può lasciare dubbi o procurarne nuovi, si può affermare che serva a qualcosa? Il ‘quanto serve’ è direttamente proporzionale a due fattori:

1. quanto ci interessa sviluppare e arricchire le nostre capacità di interrelazione nei rapporti interpersonali.
2. quanto ci interessano ‘gli altri’

Per saperne di più, per utilizzare le immagini come esercizio e dare una mano agli ‘”altri” lavorando su se stessi, percorrete il sentiero verso il faro, salite sulla barca e seguitemi.

Se preferite semplicemente navigare nel mare dei colori, siete e sarete comunque benvenuti.


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Ombre Luci Sfumature




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La formula del blog :
Immagine=sensazioni + stato d'animo/atteggiamento
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Ghost

martedì 29 maggio 2007

domenica 20 maggio 2007

venerdì 18 maggio 2007

mercoledì 16 maggio 2007

# GH0001




§ Clear Nuance Blog - Commenti fuor di Post



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lunedì 14 maggio 2007

§ Le Vostre Spigolature

immagine, arte, creatività, fantasia, sentimenti, emozioni, atteggiamento, empatia...

nell'ambito di
filosofia-storia-psicologia-antropologia-pedagogia-sociologia-filologia-letteratura-etc

oppure trasversalmente
o semplicemente secondo Voi.

I Vostri Interventi

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Razionalità e Fantasia in Pedagogia

Razionalità e Fantasia in Pedagogia
di Gianna P.



IDEE ERRONEE


Nel parlare di fantasia e ragione, il senso comune incappa spesso in tre errori. Il primo è quello di ritenere che la fantasia compaia prima della ragione e sia dunque una forma di pensiero più infantile. La ragione giungerebbe invece in un secondo momento a seguito della maturazione mentale.Un secondo errore comune è quello di vedere la fantasia come un’attività meno importante rispetto alla razionalità, dato che quest’ultima sarebbe più efficace ed utile nell’affrontare i problemi di tutti i giorni. Si ritiene infine che le due attività (razionalità e fantasia) siano tra loro incompatibili e che non possano coesistere.Diversi studi hanno però dimostrato che queste tre idee sono completamente infondate; gli studi di Piaget hanno per esempio portato alla luce come razionalità e fantasia nascano insieme, nello stesso periodo: intorno ai diciotto mesi compaiono sia l’intelligenza senso-motoria che la capacità di rappresentarsi ed immaginare situazioni non presenti. Per quanto riguarda l’importanza dell’una o dell’altra attività, possiamo facilmente constatare che, se la ragione aiuta ad affrontare i problemi quotidiani, un aiuto alla loro soluzione può spesso arrivare da un guizzo di fantasia.E’ infine sbagliato sostenere che le due attività non possano coesistere, in quanto in diverse situazioni esse possono essere compresenti o alternarsi, come per esempio nei romanzi (i rapporti logici, causali, spaziali e temporali sono razionalmente mantenuti, ma le storie sono inventate) o nell’esempio dei libri-gioco (richiedono le capacità razionali di cui qualsiasi libro necessita, ma è con la fantasia che il piccolo lettore deve immaginare la figura al di là del buco nella pagina).


TRATTI IN COMUNE


Diverse caratteristiche accomunano razionalità e fantasia nel loro modo d’essere. Entrambe possono essere definite attività strutturanti, nel senso che entrambe creano strutture cognitive o semplificano strutture complesse o complicano strutture semplici. La razionalità ad esempio forma strutture come gli insiemi, le serie, le successioni e via dicendo; anche la fantasia forma d’altra parte strutture ben chiare, basti pensare a come anche una semplice catena di idee contenga al suo interno i nessi che hanno portato da un’idea all’altra, o a come i sogni possano essere tranquillamente raccontati, proprio perché sorretti da una struttura portante. Razionalità e fantasia permettono inoltre diversi gradi di iniziativa. Durante una lezione, a scuola, un allievo può semplicemente ascoltare l’insegnante (iniziativa razionale minima) o può invece risolvere completamente da solo un certo problema (iniziativa razionale massima). Per quanto riguarda la fantasia, si può invece avere un grado di iniziativa minimo nell’ascoltare il racconto di una storia, fino a raggiungere un massimo livello di iniziativa nell’invenzione di una storia.Un terzo tratta che unisce le due attività è la presenza, in entrambe, di elementi emotivi dallo stress nella soluzione di problemi alle emozioni nell’ascolto-invenzione di una fiaba. Infine sia razionalità che fantasia sono esperienze comunicabili come nell’esporre oralmente i passaggi di un certo ragionamento od offrire agli altri una nostra catena di idee, esponendola verbalmente o graficamente.


DIFFERENZE


Veniamo ora invece a ciò che differenzia la razionalità dalla fantasia.La prima sostanziale differenza è quella che viene definita marchio di realtà. L’attività razionale può godere di questa caratteristica, dato che i suoi contenuti sono sempre collocabili in uno spazio e in un tempo o sono direttamente osservabili o indirettamente ricostruibili. Ci sono però alcune eccezioni, come nel caso dei teoremi o di tutta la matematica in generale: si tratta di attività razionali, perché il nostro pensiero ci vieta di pensare che un determinato teorema non sia vero anche se non osservabile e non collocabile in un preciso tempo ed in un preciso spazio; si parla in questo caso di marchio di necessità. Al contrario la fantasia non ha alcuna realtà: le fiabe sono spesso ambientate in un tempo che non esiste ed in un luogo inventato. Nel caso di alcuni romanzi, possono esserci anche date e luoghi precisi, realmente esistenti, ma si può facilmente capire che i fatti raccontati non sono mai avvenuti in quello spazio ed in quel tempo.Un secondo punto su cui fantasia e razionalità sono totalmente antitetiche è il grado di rigore nell’uso dei rapporti. La ragione tende sempre ad un uso rigoroso dei rapporti (il termine “tende” vuole includere l’età infantile, in cui i rapporti non sono ancora perfettamente appresi). Nella fantasia, si trovano invece grandi trasgressioni nei rapporti spaziali, temporali, logici e causali. Si pensi per esempio a come una bambina ed una nonna entrino nella pancia di un lupo nella storia di Cappuccetto Rosso, o come alcuni risultati vengano ottenuti non con strumenti comuni, ma con magie e bacchette fatate. Trasgressioni vengono poi compiute dalla fantasia anche grazie ad un utilizzo particolare del concetto di somiglianza, secondo cui due oggetti simili fondono le rispettive identità, come quando un pettine diventa una catena montuosa per i suoi numerosi denti. Un’ultima importante differenza è quella che riguarda il dirigere o il lasciarsi guidare. Quando si è di fronte ad un’attività di stampo prettamente razionale, siamo a dirigere il nostro pensiero, facendogli prendere le strade che noi riteniamo più opportune per giungere alla soluzione del problema. Per contro, in un’attività di fantasticheria, lasciamo che le idee ci balzino alla mente, una di seguito all’altra e ci lasciamo trasportare da esse: è la nostra mente che guida noi stessi.


Gianna P.

Mimesis. «Essere a immagine di»

Mimesis. «Essere a immagine di»
di Bruno R.
L’essere un’immagine implica in partenza far richiamo ad un referente a cui l’immagine rimanda. Questo problema rappresenta un punto cardine della formazione dell’immagine come organismo autonomo, perché presenta a sé i fondamentali attributi che percorrono lo statuto dell’immagine proiettata verso il mondo; mondo a cui essa fa carico e in cui essa si riproduce. In altri termini, la stessa definizione di immagine comporta una dipendenza dall’altro da sé, dipendenza da un modello nel registro di una rassomiglianza morfologica. La qualità e la verità del contenuto di un’immagine sono dunque condizionate da un raffronto fra l’immagine-copia e la forma di riferimento, che consente di stabilire se la copia è, da un lato, immagine, dall’altro, immagine più o meno somigliante.
«Nel momento in cui diviene immagine, una forma è chiamata a esistere per una seconda volta: è, nello stesso tempo, Medesima ed Altra, perché dev’essere la propria immagine somigliante ma anche essere sufficientemente distinta dal modello, per poter apparire come l’immagine e non come l’essere originario»
[J.-J. Wunenburger, Filosofia delle immagini, Giulio Einaudi Editore, Torino 1999, p. 137].
Per cui l’immagine è sempre inseparabile da una comprensione in termini di filiazione. Essendo «immagine di», essa rimanda inevitabilmente alla propria origine e chiede dunque di essere pensata attraverso il paradigma gnoseologico. Simmetricamente, non si dà immagine se non si riproduce una qualche realtà di idee o di oggetti, cioè se la realtà non esce da sé e non produce altro da sé. L’immagine presuppone pertanto, inizialmente, che l’essere, il reale, non sia unico ma possa dar luogo a una duplicazione, almeno della sua “forma”. C’è dunque immagine solo quando un essere, oggetto o idea che sia, si riproduce. L’esperienza di un doppio dotato di somiglianza è per l’appunto all’origine mitica dell’immagine. Nella tradizione greca, l’enigma dell’immagine viene sovente associato alla pittura di Apelle, che, grazie ad alcuni tocchi impressi dalla sua mano alla materia, fece apparire la forma stessa di Afrodite. Da allora, il discorso sull’immagine non ha cessato d’interrogare questa sconcertante proprietà dell’immagine, che le consente di riprodurre qualcosa, di replicare il reale, pur essendo altro da esso, e di essere nello stesso tempo assenza o negazione della realtà rappresentata.
Bruno R.

Immagine in Kant

Immagine in Kant
di Bruno R.


Se Baumgarten instaura i primi rapporti intellettivi con il mondo della bellezza estetica, è pur vero che un mutamento epistemologico essenziale interverrà quando l’immagine sarà promossa al rango di entità rappresentativa autonoma e primaria, e le verrà conferita, in gradi diversi, una funzione dinamizzante e generatrice sia per le rappresentazioni sensibili sia per quelle intelligibili. Questa «rivoluzione copernicana» delle rappresentazioni, messa più volte in cantiere, per esempio durante il Rinascimento con le dottrine dell’immaginazione creatrice, trova la sua prima espressione strutturale nella teoria dell’immaginazione trascendentale ad opera di Kant, che, appunto, assegna all’immagine uno statuto trascendentale situandola nel cuore delle operazioni intellettuali. È con la Critica del Giudizio, datata 1790, che Immanuel Kant, insoddisfatto delle tesi proposte dal Baugmarten e da buona parte del razionalismo tedesco (ma anche dall’empirismo britannico, che vede in David Hume la forma più radicalizzata), ribalta e chiarisce la posizione dell’immagine. Il trascendentalismo dell’immagine attinge con Kant a due esiti concorrenziali: il primo è la teoria dello schematismo percettivo, il secondo la teoria della simbolizzazione analogica all’interno della riflessione dell’Assoluto. Nel primo caso, secondo Kant, prima che un contenuto appaia attraverso i sensi, preesistono, nella facoltà rappresentativa, dei modi di appercezione che consentono di strutturare il fatto fenomenico. La struttura figurativa del soggetto predetermina così il mondo sensibile, che non può essere mondo se non a patto di sottomettersi, negli atti intellettuali della conoscenza, all’ordine prestabilito di una funzione immaginativa. Per cui la percezione è appunto una costruzione alla quale contribuiscono delle immagini, immagini che a loro volta costringono l’intelletto a rinunciare ad applicare direttamente i suoi concetti alle intuizioni empiriche.


«Questo schematismo del nostro intelletto […] è un’arte nascosta nelle profondità dell’anima umana: difficilmente impareremo mai dalla natura le vere scaltrezze di quest’arte, in modo da poterle presentare senza veli» [Kant, Critica della ragion pura, I, II, I, Adelphi, Milano 1976, p. 221]


Con tale prospettiva, la matrice rappresentativa che prefigura l’intuizione empirica può assomigliare a un «monogramma», che non comprende ancora, a titolo di immagini, determinazioni empiriche particolari. Lo schema, perciò, non corrisponde tanto ad un originale, da esemplare per l’oggetto, ma si rifà piuttosto ad una sorta di prototipo generico, una base dalle molteplici applicazioni concrete. L’immaginazione, a tal punto, diviene così un mero supporto dell’intelletto, un punto di appoggio nella sintesi trascendentale, nella quale, il processo cognitivo ha però, in un certo senso, privato l’immagine della sua vitalità e generatività a beneficio di una funzione più logistica. Dopo essere intervenuta, tramite lo schematismo, nella costituzione della conoscenza oggettiva del mondo offerto ai sensi, con la seconda teoria della simbolizzazione analogica l’immaginazione apre le porte all’Assoluto fornendogli un contenuto nuovo: rappresentazioni analogiche che trascendono il quadro dell’esperienza empirica. In breve, le immagini, dando un contenuto figurativo a ciò che sfugge all’esperienza dei sensi, permettono che si alimenti un pensiero che non coglie contenuti determinanti, paradigmatici, ma esprime invece contenuti che per lo meno danno la possibilità di tradurre ciò che possiamo dimostrare con un senso univoco. Quindi, l’immagine pur riducendosi dal lato della percezione ad una funzione più logica che figurativa, prende tuttavia posto nel pensiero del soprasensibile, che assicura la formazione di contenuti astratti dove i concetti non sempre riescono ad attingere. Il successo delle teorie di Kant si dimostra nella facoltà (del processo di schematizzazione e di simbolizzazione dell’immagine) di avviare un meccanismo di «condensazione particolare», una «“intensificazione” dell’intuizione sensibile», che agisce come una sintesi qualitativa dell’esperienza, atta ad integrare il particolare con il generale e quindi in una identità.


E sono, quest’ultime parole di Cassirer[1] che, sulla scorta del trascendentalismo, assicurano forse l’approfondimento kantiano più originale. Ernst Cassirer mette in particolare evidenza le simbolizzazioni operanti nel mito, nell’arte e nel linguaggio, che sono altrettante vie espressivo-culturali di una messa in scena del mondo. «Sotto questo punto di vista, il mito, l’arte e così il linguaggio e la conoscenza divengono simboli: non già nel senso che essi designino sotto forma di immagine, di allegoria che allude e che spiega una realtà precedentemente data, bensì nel senso che ciascuna di queste forme crea e fa emergere da se stessa un suo proprio mondo di significato. In esse si manifesta l’autospiegamento dello spirito: e soltanto per mezzo di esse sussiste per lui una “realtà”, un essere determinato, organico. Non imitazioni di questa realtà, ma organi di essa, sono ora le singole forme simboliche, in quanto solo per mezzo loro il reale può essere assunto a oggetto della visione spirituale e quindi come tale divenire visibile». Attraverso codeste «forme della ostensibilità», codesti atti di «ideazione simbolica», l’uomo interpone originalmente, tra sé e il mondo, forme che faranno da tramite ad un certo numero di varianti della totalità dell’esperienza, che già contribuiscono a darle un senso. Sotto questo aspetto, la rappresentazione per immagini non si rifà più a una forma pura e si comporta davvero come mediatrice di senso, nella veste di una “pregnanza simbolica” dell’esperienza prima. Ecco perché, dunque, la coscienza simbolica si rivela particolarmente presente e operante nella coscienza religiosa, che rappresenta il primo modo di «apprensione» (Kant) della realtà. Le rappresentazioni astratte della scienza o della filosofia si presentano se mai come un superamento di questa prima struttura simbolica, una sorta di trattamento analitico per esteso di ciò che era stato trattato, nell’esperienza religiosa, in modo sintetico e concentrato. Con tali assunzioni possiamo iniziare a comprendere come l’immagine asservisce il dibattito principale dell’Estetica, lavorando dal primo giorno di nascita alla sostanza della rappresentazione e dell’immaginazione attraverso il «sensibile». Tali tematiche costringeranno la filosofia a rivisitare e correggere in visione dell’arte le appropriazioni ontologiche sul filo della «somiglianza», argomento che estenderà le discussioni filosofiche spingendosi fino alla piena assegnazione dell’autonomia da parte dell’immagine.


Bruno R.


[1] E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, I. Fenomenologia della conoscenza, La Nuova Italia, Firenze 1966

Immagine-Immaginazione e Sartre

2 Luglio 2007

Immagine-Immaginazione e Sartre
di Michele

Il lavoro sulla trascendenza La Transcendance de l’Ego, pubblicato nel 1936 costituisce lo sfondo necessario alla piena comprensione del pensiero di Sartre, e in particolare, delle questioni dell’immagine e dell’emozione.
Proprio all’immagine il filosofo dedica due importanti lavori: Imagination (1936) e Imaginaire (1940).
Il primo testo è dato alle stampe nel 1936, ma Sartre lo presenta già nel 1926 come tesi per conseguire il diploma all’Ecole Normale Superieure. L’elaborazione dello scritto avviene sotto la direzione di Henry Delacroix (1873-1937), allievo di Victor Brochard (1848-1907), ed era considerato, in quegli anni, uno dei massimi pensatori francesi. Già egli, prima del suo allievo, aveva avviato una riconsiderazione della questione sull’immagine, che partiva dalla convinzione di dover spogliare l’immagine del suo contenuto sensibile. Una posizione questa, che venne in seguito ripresa da Sartre, nell’ottica di una prospettiva fenomenologica, proprio su invito dello stesso Delacroix, che negli anni Trenta aveva fondato la collana Nouvelle Encyclopedie Philosophique per la casa editrice Alcan, e aveva suggerito al giovane allievo di riprendere il materiale della tesi sull’immaginazione e di pubblicarlo sulla rivista. In realtà però solo una parte dell’elaborato venne data alle stampe nel 1936, quella cioè, che si occupava criticamente delle diverse teorie sull’immagine, mentre il resto fu pubblicato nel 1940 in un altro lavoro, con il titolo di Imaginaire. La questione dell’immagine viene affrontata in Imagination, che appare come una sorta di osservatorio dei risultati degli studi psicologici influenzati dal positivismo, e delle influenze che su di essi avevano avuto i grandi sistemi metafisici del passato. I risultati di queste ricerche erano stati raggiunti senza mai mettere in dubbio un postulato fondamentale, che l’immagine fosse una copia delle cose. Il giovane filosofo era invece interessato a lavorare su questo postulato sotto una spinta nuova, quella della fenomenologia, che aveva conosciuto a Berlino tra il 1933 e il 1934, e proprio da questo studio aveva maturato la convinzione che fosse possibile un ripensamento del concetto di immagine. Imagination rappresenta un intreccio storico e filosofico delle teorie che in quegli anni si costruivano attorno alla questione dell’immagine, e che così com’erano, non potevano sciogliere il nodo che avrebbe portato a far chiarezza sulla distinzione tra immagine e percezione, l’ostacolo che non permetteva di scoprire la vera natura dell’immagine. Il compito di Sartre in questo lavoro è proprio quello di passare in rassegna tutte le teorie più importanti, e dimostrare come queste poi, partendo da strade diverse si fermino sempre allo stesso ostacolo, al contenuto sensibile dell’immagine, senza mai procedere oltre. Se l’immagine era una copia delle cose, e dunque cosa essa stessa, non si capiva come essa potesse essere simile per natura alla percezione, se ad un certo punto bisognava dimostrare, per necessità di ragionamento, che esisteva una differenza tra i due concetti. La soluzione per la maggior parte dei casi si risolveva ad una questione di intensità di contenuti, ma la vera origine della immagine restava comunque sempre da scoprire, in quanto ad essa si applicavano quelle leggi metafisiche che pretendevano di regolare a priori gli effetti dell’immagine nel mondo fisico. Le ricerche compiute durante gli anni berlinesi aiuteranno il filosofo a disfarsi della psicologia positivista e di quella che Sartre riteneva la metafisica “ingenua”. Partendo dalla critica ai maggiori psicologi e pensatori del suo tempo, il filosofo analizzerà le diverse posizioni e rileverà quelli che, secondo lui, erano stati i difetti metodologici che avevano ostacolato il buon fine delle ricerche.
La realizzazione di una psicologia fenomenologica dell’immagine, che verrà poi esplicitata in Imaginaire, sembra avere il compito di mostrare, attraverso l’attività intenzionale della coscienza che il filosofo eredita da Edmund Husserl, cosa accade quando si immagina: durante l’atto stesso di immaginare, all’interno della coscienza, non interviene nessuna modifica. Non c’è nessun Io che la personalizza, cioè che identifica quella immagine come appartenente al soggetto che la sta pensando, ma, come concluderà il filosofo in Imagination, si evidenzia una caratteristica importante per la coscienza, la sua spontaneità. Una coscienza che immagina lo fa spontaneamente, una coscienza empirica invece non sembra mostrare questa particolarità. Un risultato, che per Sartre, non era stato possibile osservare attraverso i risultati della psicologia sperimentale, a causa evidentemente del metodo utilizzato per la comprensione della natura dell’immagine. L’analisi di queste osservazioni doveva proseguire con lo studio della coscienza immaginativa, in particolare nel lavoro del 1940, soffermandosi sul momento in cui la coscienza si getta nel mondo, superando se stessa, e scoprendo così l’unico modo per essa di cogliere il mondo. Alcuni studiosi, come Gilbert Durand, accusarono Sartre di essersi certamente imbattuto in una nuova analisi dell’immaginazione, ma di non aver mantenuto la promessa iniziale, cioè di rivelarne la natura coscienziale. In realtà leggendo le ultime pagine di Imagination, pubblicato nel 1936, Sartre arriva alla conclusione che l’immagine è un 'certo tipo di coscienza', e della questione promette di parlarne altrove, in Imaginaire, dove per Durand sembra che il filosofo non abbia mantenuto la promessa. L’obiettivo iniziale di Sartre, nel 1936, era comunque, quello di restituire all’immagine una veste dignitosa, che non la facesse apparire come una sterile copia dei dati sensibili, ricollocandola all’interno della coscienza. Alla luce della lettura e dell’analisi dei lavori degli anni Trenta, si può sostenere con forza che il giovane filosofo ha raggiunto quest’obiettivo. C’è anche da considerare che prima che Sartre completasse Imagination, il dibattito sulla questione era confinato ai risultati delle ricerche e agli studi elaborati alla fine dell’Ottocento, e quindi si deve ritenere che i suoi lavori sulla coscienza, sull’immagine e sull’emozione, anche per il fatto di aver reso suscettibile la definizione di immagine, abbiano reso possibile lo spostamento del confine degli studi precedenti e l’esistenza di diverse forme di coscienza. La psicologia, la prima disciplina a riprendere il discorso sull’immagine, e anche la filosofia, non avevano dubbi che essa fosse la copia di qualcosa, restava però da capire come questa imitazione del sensibile nascesse e di che consistenza fosse, ma soprattutto in quale parte della coscienza fosse collocato il “meccanismo” dell’immaginazione. Tutti questi interrogativi scatenarono il dibattito che continuò ad agitarsi, soprattutto in Francia, sino agli inizi del secolo passato. La teoria, che Sartre sviluppava in Imagination prima e in Imaginaire poi, si distaccava completamente da quelle dell’epoca sia in campo filosofico, ma soprattutto in quello scientifico, come sostiene anche Sara Vassallo, studiosa di psicologia:
''la théorie que Sartre développe dans l’Imaginaire n’a rien à voir avec les formalisations de la Gestalt en vigueur à l’époque et ne partage pas non plus les positions de Bachelard. Elle constitue tout d’abord une prise de position à l’encontre des thèses empiristes et associationnistes et obéiet à la pensée deHusserl ''. (S.Vassallo, Sartre et Lacan. Le verbe etre entre concept et fantasme, L’Harmattan, Paris 2003).
Forse doveva essere davvero così visto che, per Gaston Bachelard contemporaneo di Sartre, insegnante di Fisica nei collegi e successivamente studioso di Storia e Filosofia della Scienza, più che di immaginazione, sarebbe stato più appropriato parlare di poetica dell’immaginazione: se è vero che l’uomo è un corpo, l’immagine è all’origine dell’esperienza umana, infatti, ''mentre nell’animale l’istinto si traduce in azioni e comportamenti, nell’uomo si trasforma in immagine''(G.Bachelard, La terra e la forza delle cose, Red edizioni, pag. 9).

Michele

Dell’Invidia passando per Ovidio

3 Luglio 2008
Dell’Invidia passando per Ovidio
di Valentina C

Io sono Aglauro che divenni sasso
(Dante Pg. XIV, 139)


A Cicerone si deve la più chiara spiegazione della etimologia di invidia, che, com’è noto, va ricondotta al potere stesso dello sguardo: quod verbum ductum est a nimis intuendo fortunam alterius, ut est in Melanippo: “Quisnam florem liberum invidit meum?”. Sempre Cicerone si premurò di sopperire alla egestas linguistica latina, coniando il neologismo invidentia che distinguesse l’invidia ‘attiva’, che il soggetto prova, da quella passiva, di cui si è oggetto, per eliminare l’ambiguitas di questa vox media. Il lessema non si impose, tuttavia ne troviamo traccia in qualche scrittore cristiano.
Ma è ad Ovidio che si deve la prima e più compiuta descrizione della personificazione dell’invidia; essa si trova, notoriamente, nel II libro delle Metamorfosi, ai vv. 760-801. Il contesto dell’azione di Invidia è costituito da un episodio che vede come protagonista Aglauro (“Splendida”), una delle tre figlie del re Ateniese Cecrope, per la quale il poeta ritaglia un ruolo a metà strada tra vittima (della dea Invidia) e maldestra ‘carnefice’ (della sorella Erse). Aglauro diviene così invidiosa di Erse e ostile a Mercurio, fino a impedirgli l’accesso alla stanza della sorella. Il dio, dopo aver tentato invano di vincere l’opposizione della donna, la punisce pietrificandola.
Ai fini della comprensione della rappresentazione dell’invidia nell’immaginario ovidiano (e romano in genere), può risultare di qualche utilità un’analisi della sua personificazione in rapporto alle dinamiche.
L’invidia, infatti, è sempre un sentimento di relazione e in relazione a qualcun altro da sé. Il primo dato rilevabile è che Ovidio stabilisce una sorta di rapporto osmotico fra ‘contenente’ e ‘contenuto’, nel senso che per la rappresentazione dell’Invidia il poeta non può che mutuare i caratteri psico-somatici da quelli che nell’immaginario comune del suo tempo dovevano essere attribuiti alla persona affetta da invidia e che poi si riscontreranno parzialmente, in due momenti diversi, nella figlia di Cecrope.
Un secondo aspetto, che emerge è che Aglauro costituisce già di per sé un buon ricettacolo per l’invidia, anzi si può dire che vi abbia una certa predisposizione e inclinazione naturale. Questo è un tratto che marca differenza con una forza per certi versi speculare all’invidia, cioé l’amore. Infatti, anche l’amore è topicamente originato e alimentato dagli occhi, ma la sua forza è tale da costringere anche i più riottosi a piegarsi e a caderne vittima. Anzi, in genere, proprio i personaggi mitici che si professano ‘irriducibili’ nella loro insensibilità ai richiami erotici, non fanno che attirare su di sé la malevolenza di Venere che, in una sorta di contrappasso punitivo, li coinvolge in passioni violente, spesso fatali.
La descrizione ovidiana indulge sullo stato di sofferenza personale che l’invidioso attraversa: Aglauro è morsa da un dolore occulto, e per questo più atroce, nascosto nelle pieghe profonde dell’animo, come nascosta era, allegoricamente, la casa di Invidia. Senza soluzione di continuità il morso la attanaglia, di giorno come di notte. Per rendere lo stillicidio Ovidio sceglie l’immagine del ghiaccio che si scioglie a poco a poco sotto un sole tiepido, e, rovesciando la prospettiva, della legna verde che il fuoco non riesce a far divampare, ma pure consuma con lentezza.
Infine un cenno alla respirazione, anzi al soffocamento procurato dal diffondersi del gelo, che avanza come un cancro incurabile, occulto, nascosto (come segreta e incurabile era l’erosione stillicida del livore dentro il cuore di Aglauro). Et respiramina clausit: il senso di soffocamento è un altro tratto caratterizzante l’invidioso, alla vista della felicità altrui. In diverse testimonianze letterarie la persona invidiosa aspira proprio a una morte per soffocamento, tramite strangolamento o impiccagione. Ed è grazie al raffronto fra le fonti letterarie e quelle archeologiche che M. W. Dickie e K. Dunbabin hanno sciolto l’enigma di alcune statuette acefale di Smirne, in parte esposte oggi al Louvre, caratterizzate da una magrezza esasperata, le costole in evidenza, un fallo molto pronunciato e le mani portate al collo.
L’ultimo verso è una nota ‘di colore’. Se il colorito dell’invidioso è pallido e livido, la pietra in cui è stata trasformata Aglauro non può risultare bianca perché la mente di Aglauro è ormai così corrotta da contaminare da sé il resto, per intero. Nel suo masochismo senza limiti, l’invidioso ha firmato, ancora una volta, la propria condanna.

L’icastica descrizione della pietrificazione deve aver colpito particolarmente anche l’immaginario di Dante Alighieri, se il poeta la trasceglie come ‘epigrafe’ per immortalare la figlia di Cecrope che gli si fa innanzi nel cerchio degli invidiosi: «Io sono Aglauro che divenni sasso».
Con ogni probabilità, proprio a causa del carattere di autolesionismo peculiare di questo peccato, che è scevro di qualsiasi vero piacere, Dante colloca gli invidiosi nel Purgatorio (Pg. XIII-XIV) e non nell’Inferno.
Anche l’inserimento nella lista dei sette peccati capitali non è stata sempre scontata: Evagrio e Cassiano infatti non la considerano tale, mentre è Gregorio Magno a classificarla per primo come secondo vizio capitale, dopo la superbia. Cfr. C. CASAGRANDE - S. VECCHIO, I sette vizi capitali, Torino 2000, pp. 36-53

Oggi l’ostracismo e la condanna sociale nei confronti dell’invidia sono così unanimi, almeno a parole, da rendere spesso necessario il suo occultamento. L’accusa di invidia viene respinta, anche di fronte all’evidenza, o comunque il vizio viene nobilitato e adulterato con altri pretesti. Resta spesso più facile confessare di avere ben altri vizi e difetti piuttosto che questo. Le cause e l’entità di tale reticenza variano in base alle culture e ai periodi storici di riferimento. Vi sono culture che non contemplano neanche un vocabolo traducibile con “invidia”.
Sulla rimozione linguistica dell’invidia, e in generale su invidia e linguaggio, cfr. quanto osserva H. SCHOECK, L’invidia e la società, pp. 16-24 e 29-31.

Per chi ama i proverbi:
Un antico proverbio russo recita: L’occhio dell’invidioso fa di una mosca un elefante e L’invidioso vede anche con le orecchie. Espressioni proverbiali consimili, che persistono in varie lingue del mondo, sono citate in H. SCHOECK, op. cit., pp. 25-29.
Per i proverbi greci e latini sull’invidia si veda A. OTTO, Die Sprichwörter und Sprichwörtlichen Redensarten der Römer, r. a. Hildesheim 1962, in particolare s.v. fulmen, invidia, rumpere, dens e R. TOSI, Dizionario delle sentenze latine e greche, Milano 1991, pp. 31; 284-285; 618.

Ciao a tutti. Valentina C.

L’immagine è un fardello


2 Luglio 2008

L’immagine è un fardello
di Giacomo T.

La vita dello spirito e la vita della cultura sono caratterizzate, specialmente dagli ultimi due secoli, dall’onnipresenza dell’immagine. Un fatto, questo, che ci fa sentire contemporanei a quella che comunemente viene definita la «civiltà dell’immagine».
La civiltà dell’immagine apre fin dai suoi esordi ad una vasta gamma di problematiche e aspetti proprio a partire dall’inserimento del concetto immagine in un apparato socio-culturale come quello di civiltà. La civiltà dell’immagine, inoltre, si propone come un diretto proseguo delle premesse dell’“era Gutenberg”, vale a dire di quella cultura scritta ed astratta che di certo permane ancora nella civiltà attuale ma che con l’implementazione dell’immagine ha modificato i suoi caratteri a favore di una sintesi che rifletta maggiormente il nostro tempo. Siamo quindi in immagine, questo fardello che per parte ci pesa e che per parte altra no, ma che ci dà la possibilità di confrontarci e relazionarci con molte delle manifestazioni del contemporaneo, quelle molteplici forme di cui innanzi tutto l’uomo ne è per buona parte artefice e, quando no, ne prende parte con estrema disinvoltura, o, in taluni casi, con estrema indifferenza. L’immagine è di fatto un aspetto che ha riscosso notevole successo in molti campi della cultura e della tecnica, al punto tale che, per molte considerazioni ed ambiti di analisi, se né dovuta riformulare continuamente l’attenzione e la specificità mettendo spesso in crisi molte delle basi ideologiche del “voler sapere”. In particolar modo, nella misura in cui l’onnipotenza della razionalità astratta ha iniziato a cedere, nel mondo scientifico é cresciuta la stima per aspetti psicologici e sociologici, come a tentar di recuperare quello scarto di occasionalità e casualità in cui l’uomo è naturalmente avvolto e che sfere come la fisica, la chimica e l’astronomia, ad esempio, avevano spesso tralasciato o tendenzialmente oscurato per “l’amor di Dio”.
La nascita e lo sviluppo della psicoanalisi è tra gli esempi di questo presentimento, della consapevolezza di questi mutamenti, che incisero tutto il senso di civiltà ereditato e che mai più percossero i passi fatti, sintomo genetico di un epocale cambiamento. Ma, ripetiamolo, la psicologia e la sociologia e le espressioni umanistiche in generale – tra cui l’arte -, hanno, nel nostro specifico, rimesso l’immagine al centro delle riflessioni e delle domande sull’uomo, l’uomo nel suo “attorno”. Lo studio delle società non europee, soprattutto durante tutto il XIX secolo, ha costretto a rivedere certi pregiudizi culturali in materia di immagine, sul filo dello studio comparato delle arti plastiche, delle credenze religiose, del mito; gli studi cognitivi e psicologici hanno rivalutato l’esperienza come fattore determinante il vissuto, la visione del vissuto, riposizionando l’uomo all’interno della società e della natura come ulteriore elettrone scatenante e non più come centro da cui tutto l’universo si ritrae, ed è ritratto. La valenza dell’immagine acquisisce maggiore consenso a causa proprio della sua forte ambiguità, dalla sua carica depistante situata a metà strada tra il concreto e l’astratto, tra il reale e il pensato, tra il sensibile e l’intelligibile. Essa consente di riprodurre e interiorizzare il mondo, di rispecchiarlo così com’è, a livello mentale o in virtù di un supporto materiale, ma anche di modificarlo, di trasformarlo, fino a produrre mondi fittizi. Tra il dato puro dell’immediatezza sensibile e il suo concetto, l’immagine costituisce, quindi, una rappresentazione intermedia, che collabora tanto alla conoscenza del reale quanto alla sua piena dissoluzione nell’irreale. Non a caso, l’immagine, se pur ha riconquistato l’interesse di moltissimi studiosi, non gode, generalmente, di una buona reputazione, particolarmente se pensiamo ai filosofi, che hanno prevalentemente rivolto la propria attenzione alle percezioni e ai concetti. Ne è esempio una asserzione di M. Merleau-Ponty che ammette come «la parola immagine ha una cattiva fama perché si è creduto che un disegno fosse un ricalco, una copia, una seconda cosa, e che l’immagine mentale fosse un disegno di questo genere nel nostro privato»; oppure, allo stesso modo, ma con una netta presa di distanza, come rileva F. Dagognet, osservando che «il filosofo non apprezza di sua spontanea iniziativa né i fantasmi, né le copie, né i riflessi, né gli abbagli, né i miraggi: la sua saggezza e il suo buon senso lo mettono in guardia contro tutto ciò che è replica, mimetismo, mistificazione». Eppure la filosofia, alla pari della scienza, della psicologia e della sociologia, ha dovuto riconsiderare l’immagine e attualizzare i suoi confini, la sua veste perturbatrice o comunque mediatrice dell’attività dello spirito, obbligata a rivalutarla riesaminando certi suoi atteggiamenti conservatori, aggiornando certi suoi concetti e giudizi. È da qui che si concentreranno gli ultimi sforzi critici a favore dell’immagine. L’immagine è un fardello (ci piace questo termine perché ne abbozza la sua struttura organica, variamente articolata, composta di parti, di organi appunto, di ossa, di articolazioni, di flussi e di respiri; l’immagine non definisce mai la sua vera presenza; un corpo senza forma o dalle infinite forme, sformato, informale, ma comunque un corpo sempre formativo, che informa, che consuma e produce informazioni, che dall’informazione dipende, ne subisce il fascino, la promuove, se ne fa carico, ci precipita dentro, si stressa ed urla), un fardello onnipresente con cui conviviamo e che alimentiamo volutamente, volutamente che non significa coscientemente. È una volontà nascosta, per parte repressa e guidata dall’alto, o dal basso, da ogni direzione; una volontà che si tramuta in interesse quando riusciamo a scorgerne le sue potenzialità ludiche, legate al gioco, mai troppo impegnative. È quindi un interesse disinteressato, così come propone Mario Perniola[1] - e noi lo appoggiamo -, «un interesse disinteressato che non sfugge il mondo ma lo muove».


Un saluto agli amici di Clear Nuance. Giacomo T.

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[1]M. Perniola, Contro la comunicazione, Einaudi, Torino 2004, in copertina.

Invidia e Malocchio


6 Luglio 2008

Invidia e Malocchio
di Cristina D.


La scissione fra invidia e malocchio è oggi per noi un dato culturale acquisito. La prima è etichettata come stato psicologico, vizio o difetto morale, la cui esistenza è comunemente riconosciuta e accettata, anche perché subita o provata. La vita stessa, si può dire, ne offre continui attestati di verifica ‘empirica’. Il malocchio (o fascinazione o fattura)[1] è invece considerato momento di folclore, patologia sociale, superstizione popolare. Di conseguenza i due fenomeni sono oggetto di studio di discipline diverse: semplificando si può constatare che l’invidia è appannaggio dell’economia, il malocchio interessa più gli antropologi, gli etnostorici, gli studiosi di costumi e tradizioni popolari, ma come nel caso del binomio astronomia/astrologia (oggi percepito perlomeno dagli astronomi come antitetico) non è sempre stato così.
Come scrive De Martino “l’alternativa fra ‘magia’ e ‘razionalità’ è uno dei grandi temi da cui è nata la civiltà moderna”. E ancora “la consapevole alternativa fra magia e razionalità non appartiene tuttavia alla ‘magia naturale’ del Rinascimento, ma piuttosto alla successiva età illuministica: e infatti alle soglie di questa, noi ritroviamo nell’inauguratore della nuova epoca, Francesco Bacone, la laicizzazione completa del ‘fascinare’ e dello ‘stregare’, intesi ormai come mero rapporto psicologico”.
Problemi di conciliazione fra razionalità illuminata e credenze magiche di vario tipo non erano del tutto estranei alla sensibilità romana, basti pensare a tutto il dibattito sulla divinazione di cui ci testimonia in modo esemplare il De divinatione di Cicerone, in cui l’Arpinate si attestava su posizioni scettiche. Ma per quanto concerne l’invidia il problema non era sentito come tale: in quest’ambito si può dire che non esisteva nessun gap paragonabile a quello attuale fra i concetti di invidia e malocchio. L’invidia sembra considerata come forza e potenza quasi infernale, inesorabile e irresistibile, a meno di particolari accorgimenti e pratiche per stornarla, tanto che neanche il ‘laico’ Cicerone osava relegarla fra le aniles superstitiones.
Cristina D.
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[1] L’interrelazione fra tali concetti è chiarita così da De Martino: «Con questo termine [fascinazione] si indica una condizione psichica di impedimento e di inibizione, e al tempo stesso un senso di dominazione, un essere agito da una forza occulta, che lascia senza margine l’autonomia della persona, la sua capacità di decisione e di scelta. Col termine affascino si designa anche la forza ostile che circola nell’aria, e che insidia inibendo costringendo. (…) La fascinazione comporta un agente fascinatore e una vittima, e quando l’agente è configurato in forma umana, la fascinazione si determina come malocchio, cioè come influenza maligna che procede dallo sguardo invidioso (onde il malocchio è anche chiamato invidia), con varie sfumature che vanno dalla influenza più o meno involontaria alla fattura deliberatamente ordita con un cerimoniale definito, e che può essere – ed è allora particolarmente temibile – fattura a morte». Cfr. E. DE MARTINO, Sud e magia, Milano 2001 (= Milano 1959), p. 15.

Il termine «immagine»

4 Luglio 2008

Il termine «immagine»
di Mauro P.



Il termine «immagine» deriva il suo vocabolario sia dalla lingua greca sia dalla lingua latina, che rimanda a sua volta a radici indoeuropee. Dal punto di vista dei sostantivi, troviamo innanzi tutto il lemma eikon (icona), nel senso di immagine, rappresentazione, dalla radice di weik-, che esprime l’idea di somiglianza. Nella lingua greca, da Omero in poi, eikon discende da un orizzonte di esperienze di tipo ottico e che si basano su una rappresentazione che si offre alla vista, strettamente connessa alla riproduzione verosimile di una realtà. Da eikon derivano un serie di termini che ne ampliano e rinfrescano i contenuti e che ne congiungono i significati con il concetto di idea, tanto a cuore ai dialoghi di Platone. Stiamo parlando dei derivati eidos e eidolon che più propriamente di eikon si riferiscono a rappresentazioni mentali oggetto di manifestazioni, apparizioni. Questo direttamente dalla radice eidos che significa «aspetto, forma» e che con eidolon si appropria di una nuova componente irreale, associata spesso all’idea di menzogna, «visione», semanticamente vicina a phantasma che di suo significa «far brillare» (dal verbo phaino). Nel latino i termini che si riferiscono all’immagine sono altrettanto vari e diversi di origine e formazione ma con in comune gli stessi intrecci semantici. Si parte con imago, di incerta etimologia, che sembra racchiudere in sé buona parte dei significati della parola «immagine». Ad imago sono spesso associati anche forma (“cornice-supporto” rigido in grado di accogliere una materia grezza) e figura (materia lavorata, con possibilità di modellamento). Rispetto al greco il latino mantiene un vocabolario poco sistematico: «Immagine, metafora, allegoria, enigma sono praticamente tutti ricondotti al procedimento più comune che consiste nel dire una cosa per significarne un’altra». E, di fatto, i termini fabula, fictio, figmentum, significatio, similitudo, figura, sono sotto molti aspetti sinonimi. Dal punto di vista delle nuove lingue latine da noi utilizzate è perciò la parola imago ad avere maggior credito nell’utilizzo del concetto di «immagine», grazie alla sua capacità di cogliere con “un sol colpo d’occhio” gli usi più prettamente specifici dei termini greci eikon (icona), eidolon (idolo), phantasma (fantasma). Il termine immagine, quindi, nella sua derivazione latina, è fin dall’antichità usato per definire molteplici espressioni conservando fin d’oggi quella caratteristica di genericità che tutt’ora la contraddistingue e che ancora mette in crisi i facili pensatori. A noi piace ricordare come pochi anni fa Jean-Jacques Wunenberger, nel suo Filosofia dell’immagine, mettendosi a rischio con una definizione - anticipandone però la cautela al suo impiego -, preferisce chiamare convenzionalmente immagine «una rappresentazione concreta, sensibile (a titolo di riproduzione o copia) di un oggetto (modello referente), materiale (una sedia) o concettuale (un numero astratto), presente o assente dal punto di vista percettivo, e che intrattiene un tale legame col suo referente da poterlo rappresentare a tutti gli effetti e consentirne così il riconoscimento e l’identificazione tramite il pensiero». Ci teniamo a precisare che tale definizione è assolutamente erronea perché, come lo stesso autore suggerisce, rischia di «suscitare una fiducia eccessiva e prematura nell’unità della categoria che ha nome immagine», ma aiuta a postulare le inclinazioni a cui l’immagine ha preso parte per molto tempo, almeno per tutta l’epoca moderna.

Un saluto da Mauro P

sabato 12 maggio 2007

Bigbluedive

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Pagina Personale
di


Bigbluedive
Sempre camminerò per queste spiagge tra la sabbia e la schiuma dell'onda.






Il mio mare

Dipingerò una parete col mio mare,
gli darò la profondità del blù
esalterò la danza delle onde
con mille tonalità di azzurro,
punteggerò di bianco le creste e ne oscurerò
l'ìncavo, ma mai ne sarò soddisfatto.

Costruirò allora la mia casa nel vento
sulla scogliera che unisce due mari.
La grande parete sarà di vetro
e ogni giorno potrò ammirare
un quadro emozionante
la curvatura sull'orizzonte liquido
la luce del sole e i suoi mille riflessi sul mare
le onde maestose sollevate dal maestrale
la pioggia che che si tuffa in neri flutti burrascosi
poi la serenità della calma piatta dopo il tramonto
e il profumo di salsedine la mattina presto
ma mai ne sarò soddisfatto.

Alzerò allora le vele bianche dei miei sogni
che si spiegheranno agli alisei
e planerò leggero sulle onde delle incertezze con la chiglia del mio veliero rappezzato
manovrando consunte sartie della mia vita
dirigendo il mio timone dove il cuore anela verso lidi di amore e tenerezza
ma mai ne sarò soddisfatto.

Allora scenderò sul fondo del mio mare
e nuoterò felice come un feto nel grembo materno
con la differenza di avere coscienza
guarderò profondamente nel mio cuore
per capire che la felicità non nasce dalla soddisfazione dei desideri
ma dalla loro creazione e dal cammino percorso per raggiungerli
per capire che non ho bisogno di pareti colorate
ne di case sulla scogliera
ne di velieri per cavalcare le onde.
Mi basterà chiudere gli occhi
per rivedere quanto ho già visto
per odorare il profumo del mare
per risentire la risacca sulla spiaggia corallina
per stringere il vento con la mia randa
e per volare , ancora una volta, sopra un abisso, portato dalla corrente.

Bigbluedive


Il mare nel blog di BigBluDive

Mi Ritorni in Mente





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Pagina Personale di


Mi ritorni in mente


Immag GH009 ripubblicata 21/06/08

18/04/09

Allora, non so da quanto fosse iniziata la sua vita, di sicuro so, era al principio di quella scala, e credo che quei colori, quella immensa tranquillità, quella atmosfera tiepida e frizzante che ti lascia sulle guancie il sole di primavera, allora non fosse sempre presente. Era come un gomitolo di fili intrecciati in modo disordinato, fili di lana, di seta, colorati, argentati, fili di fiori, di foglie, fili di pianti senza motivo, di gioie e risate.. era un gomitolo aggrovigliato senza, a volte, nè capo nè coda, rotolava, rimbalzava... era ai piedi di quella scala, ma non sapeva ancora sollevare lo sguardo verso l'alto. Eppure, bastava poco; bastava credere in se stessi, bastava inspirare profondamente e riempirsi di tutto quello che intorno a quella scala cresceva.. un gomitolo che aveva tanto da imparare! Un giorno, come per incanto, nel rimbalzare, andò a finire sul primo scalino, evvaii!!! Quale emozione, forse una mano amica l'aveva spinto un po' più su, e quale emozione nell'accorgersi che qualche filo incominciava a sbrogliarsi, era sempre più grande l'emozione, e sempre più grande la mano amica che sapeva, senza troppe parole indicare il percorso... quanta dolcezza, quanto amore, quanta delicatezza, sensibilità, attenzione. Una spinta, evvaiii, ancora più su, un altro gradino e tutto, intorno, ancora più bello, più emozionante... una mano amica, poi ancora una e ancora altre... sempre più in alto e sempre più grande e più profonda l'emozione nello sbrogliarsi al sole....

Mi Ritorni in Mente

15/04/09
dopo la pioggia c'è sempre il sereno e tutto si veste come di nuovo...



Caro Otto...

click per ingrandire

gh0056 imm. pubblicata 17 ottobre 2007

15 Aprile 2008

Caro,caro otto, il mio orsetto compagno dei miei sogni più colorati, il mio amico che sa ascoltare e leggere oltre le parole, l'amico che dà senza chiedere ora riposa..Ascolta, perchè quello che da te ho imparato sarà rinforzo per essere, ancora, otto l'orsetto della nanna!..Sai,capita a tutti di sentirsi, a volte , fragili, come acchiappati dal vento per poi sentirsri trasportare un po' di qua un po' di là, quasi senza peso , capita...c'era un bambino che amava viaggiare, incontrare persone di altri Paesi, conoscere, vedere, ascoltare..un giorno si ammalò, sai, capita, così come ora per te, niente di grave ma, egli si convinse che non avrebbe più viaggiato e più questa idea si infilava in testa, più il suo mondo perdeva colore e diventava grigio!..Si, grigio, una miscela di colori:rosso, verde,giallo,azzurro, viola, una confusione di colori, grigio!..Grigio erano il mare, il cielo, il sole, la luce, le stelle,l e montagne, i prati, i fiori..grigi i sogni e tanta tristezza..quel mondo mai aveva visto!! Il suo mondo,grigio! Mai più avrebbe potuto viaggiare!! Si chiuse nella sua stanza e stava buttato sul suo lettino, sai, proprio come fai tu, ora...ogni giorno i suoi amici buttavano lo sguardo al di là di quella porta,l a porta della sua stanza, tutti lasciavano qulcosa, tutti credevano in lui e aspettavano...Gioia, la bambina dagli occhi blu, gli stava vicino buttata ai piedi del letto e parlava, parlava proprio tanto!! Un giorno appese, con un filo, alla finestra tante gocce di vetro, i raggi di sole vollero subito giocare e, sulla parete della stanza disegnò un arcobaleno, poi ancora uno, ancora...il bambino aprì gli occhi, la stanza prendeva colore, il bambino cercò di scivolare dal letto per mettersi in piedi, provò a camminare, due tre tanti passi, le gambe erano già più forti, le mani afferrarono l'arcobaleno e via...fuori....Correva per la stradina che portava al mare stringendo forte a se l'arcobaleno. Il mare era lì davanti, le onde alte toccavano quasi il cielo, il bambino aprì la sua mano e dall'arcobaleno prese il blu, il viola e con rabbia, urlando, gettò al mare i suoi colori e la sua rabbia..anche il cielo si avvicinò all'acqua, anche il cielo riprese colore..il bambino correva e il marrone andava a fermarsi sulle montagne, il rosso, il giallo sui fiori, il bianco sui gabbiani...il mondo prendeva colore!! Il bambino sorrideva, aveva capito che poteva ancora viaggiare!!!...Adesso, Otto il mio orsetto, adesso racconta tu....

Mi ritorni in mente


Stelle - imm. pubblicata 26.07.07


27 Luglio 2007


**C'era una volta***no nooo!*Ma che dico!! C'è ancora***si**si**basta un attimo***basta chiudere gli occhi eeee**c'è**è ancora lì***una cascata di stelle!***MA che dico,di stelle?**Si..si,ma..appartiene...un attimo...a..appartiene a un..come si chiama!!.. Un.. si, si..un glob..no..blob...forse..è un blog..ma speciale..non se ne era mai visto uno simile!!!..Era ed è, ancora, un blog incantato..ma ritorniamo a un po' prima di allora e cioè a quando, in quel globo la vita sembrava scorrere serena, ma mai ci si fermava ad ascoltare o a guardare dentro le cose..il tempo non bastava!! Fin da bambini si veniva educati così..era così e basta!..IL sole era lì, ma nessuno alzava lo sguardo a guardare, dopo la pioggia arrivava l'arcobaleno con i suoi colori, ma nessuna stava a chiedere il perchè.."emozione"non veniva recitata dal vocabolario!! Si viveva così, ma un giorno....brutto? Non saprei dire..il sole decise di dormire un po' di più...eee....che scompiglio! "ahi","scusa","ohi", Perdonami, ti ho fatto male?"..Per la prima volta si prestava attenzione all'altro..tutto, intorno, era buio..non ci si vedeva al di là del proprio naso, ma c'era, dentro, una fievole luce che dava quel senso di tepore..arrivò, per la prima volta, l'emozione che venne subito acchiappata e conservata sul vocabolario per non dimenticare...e lo sguardo di tutti si volse allora verso l'alto, verso colui che, nel dormire non regalava più nè albe e tramonti. Fu proprio allora che un bimbo con il suo cagnolino incominciò a percorrere la stradina che portava alla cascata di stelle e ,come presi per mano, tutti tutti si trovarono vicini come mai avvolti dalla stessa luce...Stelle, stelle, stelle marine, alpine, piccole, grandi, brilli, sotto, sopra..poi, come per magia...una di loro si avvicina di più, di più e prende lentamente forma...Lì, davanti a tutte e tutti...il mago..alto,con la sua luce immensa..disegnò per terra:un giardino, una porticina di legno aperta e lì un faro, il mare, una barchetta con la sua vela...Via!!! Si gioca, tutti insieme...Si salta dentro, ognuno con se stesso e con gli altri.."porto l'emozione","La voglia di ascoltare","La voglia di vedere oltre"... vorrei che venisse il cagnolino, il gattino...e tutti volsero lo sguardo al "grande mago "che, con una sola immagine aveva dato "una piccola grande emozione" Ancora una volta aveva saputo dare, silenziosamente, una luce speciale...e il glob?...E' diventato blog...Grazie,Mago della cascata di stelle!!!

Mi ritorni in mente





L'Album di
Mi ritorni in mente
(non comprende eventuali immagini già pubblicate in 'le vostre cartoline')






venerdì 11 maggio 2007

§ COMMENTI DOC


In questo spazio verranno pubblicati commenti e stralci di commenti significativi relativamente agli argomenti trattati nel blog o semplicemente meritevoli, per forma e contenuto, di una maggiore visibilità. Il nostro Grazie a quanti partecipano e a quanti so che vorrebbero partecipare, ma ancora non trovano la chiave per sbloccare il flusso del proprio sentire. Soprattutto a costoro va il nostro sincero incoraggiamento affinchè trovino 'le parole per dirlo'.


§ Autore: Malias - 07/12//07 - Rif immag #GH0099

Mando un' immagine che , a mio avviso, si ricollega al discorso delle percezioni e delle deformazioni interiori che una data situazione, climatica o di latitudine ambientale o emozionale, produce in noi. Guardando l' immagine ho pensato: "Mah, un' immagine riflessa dentro una sfera, un uomo vecchio allontana da sè lo specchio sferico su cui si riflette la sua stessa immagine e guarda se stesso....Penso che scavando dentro quel riflesso ci sia molto di più di un semplice vecchio, c' è tutto l' ambiente dove vive , una stanza piena di eventi trascorsi, ricordi passati e presenti....Ma cosa starà pensando l' uomo mentre guarda la sua immagine riflessa in quella sfera? La sua espressione è cupa e il tutto è avvolto in un chiaro-scuro grigio.Anche lui come tanti di noi , forse si sta preparando ad addobbare un albero natalizio sintetico senza anima e senza vita? Forse riguarda attraverso quella sfera la sua vita trascorsa, i suoi rimpianti, il tempo perso dietro cose inutili ed effimere, le persone che non ci sono più, le persone che ha amato nella sua vita, il peso degli anni , la vecchiaia che allontana e spaventa chi lo circonda e aumenta il suo vuoto e la sua solitudine....O forse è invece un uomo che riguarda la sua immagine piena di rughe ma felice della sua vecchiaia perchè ha dentro di sè un cuore giovane come quello di un lattante perchè ha dato nella sua vita tanto amore agli altri , dimenticando spesso se stesso!?Percezioni , sensazioni, emozioni, intuizioni, condizionamenti e chi più ne ha ne metta, quando guardiamo un' immagine o quando guardiamo noi stessi o quando viviamo una tappa della nostra vita!Io, se scruto dentro me stessa in un dato momento , vedo l' aspetto grigio-invernale , vedo il vuoto e la solitudine del vecchio, spenta dentro le rughe dell' anima, se invece mi guardo in un altro momento vedo un aspetto totalmente differente: solare e luminoso come una giornata di piena estate con le sfumature calde del sole e i blu-cobalto del mare!Perciò nei momenti bui tento di non dimenticare che niente è per sempre e che il sole può (ri)sorgere, nonostante tutto e avere il sopravvento sul mio cielo grigio e cupo. Ciao mister G!

Malias

***

§ Autore: M. - 13/09/07 - Rif immag # GH0047

a proposito della rabbia e dei sentimenti che ancora scuotono i miei muscoli , i tendini, il cervello....Ora tento di prendere le distanze dalla rabbia, tento di guardarla da un' altra prospettiva, tento con molta fatica di non ascoltare i formicolii che stringono i muscoli delle mie gambe, le sento deboli ma sono per fortuna seduta concentrata a scrivere per allontanare e ignorare la bestia che continua a scavare tunnel bui e impenetrabili dentro di me senza pietà, ancora tento e forse riuscirò a sconfiggere la bestia e buttarla fuori da me, non voglio rimanere prigioniera nella gabbia della rabbia!
Sono ancora qui, la bestia si diverte e ancora non lascia i miei muscoli, i tendini sembrano corde di violino, ma posso prenderla in giro, posso riderle in faccia come un pagliaccio, sto seduta e la guardo gelidamente, come si guarda in fondo alle rotaie di un treno che si allontana sempre più, col suo carico di dolore e delusione, fino a scomparire e dimenticare anche la sua sagoma e i suoi colori.
Devo solo aspettare, devo riempire le voragini lasciate dalla bestia con pensieri diversi, con immagini diverse, con emozioni cariche di dolcezza e far crescere nel mio deserto nuovi fiori e nuovi prati, là dove ora tutto è bruciato e arido, dove gli abbracci si sciolgono in lacrime di gioia.....dove il cuore riprende a battere un ritmo tranquillo e nelle vene tutto riprende a circolare e fluire senza scatti e blocchi.

***

§ Autore: Anit - 04/08/07 - commento a immag. # GH0029

Il Mare. "Complesso delle acque salate che coprono gran parte della superficie terrestre..." E' questa una definizione scientifica, ma quanto distante e fredda risulta essere rispetto a ciò che realmente rappresenta! Da bimba lo vivevo appieno, quale mondo magico del gioco, del divertimento, della vacanza, del poter vivere liberamente, senza condizionamenti, allo "Stato puro". Volgevo lo sguardo sulla distesa azzurra cercando di scoprire chissà quali segreti nascosti,o fantasticavo, affidandogli anch'io le mie prime confidenze, intrise di lacrime, di sogni e di progetti. Il Mare è il primo luogo a cui viene spontaneo pensare in tante svariate situazioni. Dopo un periodo in cui si sta male, il desiderio è di poter correre lungo la spiaggia, nel momento in cui il sole viene "avvolto dal mare e dal cielo", per respirare a pieni polmoni, tra il rumore ritmato del moto ondoso e della risacca...per sentirsi nuovamente vivi e liberi e riprendere, caricatissimi, il cammino della vita. O quando credi che la vita sia stata tanto crudele da voler urlare tutta la rabbia e la sofferenza, ma non puoi, allora si può correre contro le onde spumeggianti e gridare verso il cielo con quanto fiato si ha, chiamare per nome una persona, che sai già che non ti rsponderà più, ma che sentirà e, attraverso "l'acqua", potrà continuare a trasmettere la forza della vita.
Anit.

***

§ Autore: Luiss - 25/07/07 - commento a immag. # GH0019

sfinimento..
In una spiaggia deserta
tra cielo e mare
sola,
nuda e indifesa
scrivo la mia solitudine
sulla sabbia bagnata,
poi, nell'oblio del sonno
mi rifugio
e aspetto un onda
che cancelli i brutti ricordi....

***

§ Autore: Mi ritorni in mente 25/07/07

**C'era una volta***no nooo!*Ma che dico!!C'è ancora***si**si**basta un attimo***basta chiudere gli occhi eeee**c'è**è ancora lì***una cascata di stelle!***MA che dico,di stelle?**Si..si,ma..appartiene...un attimo...a..appartiene a un..come si chiama!!..Un.. si si..un glob..no..blob,..forse..è un blog..ma speciale..non se ne era mai visto uno simile!!!..Era ed è ,ancora,un blog incantato..ma,ritorniamo a un po' prima di allora e cioè a quando, in quel globo la vita sembrava scorrere serena ma,mai ci si fermava ad ascoltare o a gurdare dentro le cose..il tempo non bastava!!Fin da bambini si veniva educati così..era così e basta!..IL sole era lì,ma nessuno alzava lo sguardo a gurdare, dopo la pioggia arrivava l'arcobaleno con i suoi colori,ma nessuna stava a chiedere il perchè.."emozione"non veniva recitata dal vocabolario!!Si viveva così ma,un giorno....brutto?Non saprei dire..il sole decise di dormire un po' di più...eee....che scompiglio! "ai","scusa","oi",Perdonami, ti ho fatto male?"..Per la prima volta si prestava attenzione all'altro..tutto,intorno,era buio..non ci si vedeva al di là del proprio naso ma,c'era,dentro,una fievole luce che dava quel senso di tepore..arrivò,per la prima volta,l'emozione che venne subito acchiappata e conservata sul vocabolario per non dimenticare...e,lo sguardo di tutti si volse,allora,verso l'alto,verso colui che ,nel dormire non regalava più nè albe e tramonti.Fu proprio allora che un bimbo con il suo cagnolino incominciò a percorrere la stradina che portava alla cascata di stelle e,come presi per mano,tutti tutti si trovarono vicini come mai avvolti dalla stessa luce.
..Stelle,stelle,stelle marine,alpine,piccole,grandi,brilli,sotto ,sopra..poi,come per magia...una di loro si avvicina di più,di più,e prende,lentamente,forma...Lì, davanti a tutte e tutti...il mago..alto,con la sua luce immensa..disegnò per terra:un giardino,una porticina di legno aperta,e lì,un faro,il mare,una barchetta con la sua vela...Via!!!Si gioca,tutti insieme...Si salta dentro,ognuno con se stesso e con gli altri.."porto l'emozione","La voglia di ascoltare","La voglia di vedere oltre"... vorrei che venisse il cagnolino, il gattino,...e, tutti ,volsero lo sguardo al "grande mago "che, con una sola immagine aveva dato "una piccola grande emozione"Ancora una volta aveva saputo dare,silenziosamente,una luce speciale...e il glob?...E' diventato blog...Grazie,Mago della cascata di stelle!!!

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§ Autore: Miriam - 14/07/07

In ogni stazione che si rispetti ci sono treni in arrivo e altri in partenza; fin qui niente di straordinario, solo che spesso percepiamo un'immagine adeguandola alla nostra realtà del momento. Un giorno ho trovato la foto di una stazione ferroviaria con un unico vagone in bella mostra e ho pensato: "Toh, un treno in arrivo, chissà da dove viene, chissà se è vuoto o pieno di passeggeri, se ci saranno più studenti o lavoratori; tutto ciò rappresenta forse la fine o la conclusione di un viaggio o di un percorso ben preciso!" Oggi, poco fa....mentre decidevo di inviare l'immagine a questo blog, mi sono resa conto di vederla con occhi diversi: "Treno in partenza", ovvero: inizio-avventura, viaggio/percorso, movimento/spostamento, dinamismo/evoluzione, chi più ne ha più ne metta! I viaggiatori sono in attesa, impazienti di partire per giungere ad un'altra destinazione. Pensando alla proposta del blog sento che oggi, differentemente dal giorno in cui l’avevo vista per la prima volta, come stato d'animo, l’immagine mi procura "Entusiasmo"; con la lettera maiuscola, perchè da sempre penso che ogni tappa della vita dovrebbe essere affrontata con entusiasmo e possibilmente col sorriso! Come carburante però, servirebbe, almeno ogni tanto, un bel pieno di gioia, amore, dolcezza, calore umano, tenerezza, sensibilità, attenzione agli altri non dimenticando di amare e stimare di più anche la nostra dura, ingombrante e impenetrabile corteccia umana. Ho un motto che mi accompagna da sempre "Tutto arriva a colui che sa aspettare" e me lo ripeto ogni volta che non vedo risultati o riscontri nel lavoro e nella vita di tutti i giorni, ma soprattutto quando ho la sensazione di "non farcela" o quando quello che per cui sto lottando sembra tempo perso e mi sento d'intralcio a qualcuno o a qualcosa. Quel pensiero mi aiuta a non mollare e ad andare avanti senza scappare. Quando poi riesco a vedere qualche risultato, sfioro il cielo con un dito e volo tra le nuvole e l'arcobaleno si veste di colori ancora più belli e brillanti. Ciao Ghost e ..a presto.

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13 Sett 2008 § Antonella -PG- ha detto...

Rif immag 0047.Uno studio pubblicato dalla studiosa Sandra P. Thomas nel 1993, analizza a fondo la questione della rabbia al femminile. La credenza che le donne abbiano una tendenza fisiologica a respingere e ignorare la propria rabbia è dovuta, secondo questa tesi, alla scarsa diffusione di studi specifici sull’argomento. Per scoperchiare la pentola a pressione che racchiude e soffoca la rabbia delle donne, bisogna indagare al di là dei cromosomi.La donna non si trova nelle condizioni di poter manifestare liberamente la sua rabbia. Ha l’obbligo di piacere. Deve essere non solo bella ma anche buona. Il suo comportamento non deve essere sgradevole o fastidioso, non può denunciare l’esistenza di disagi e conflitti. Il compito del gentil sesso è quello di abbellire il mondo, non di cambiarlo. La rabbia femminile è ammessa solamente quando sostiene e difende deboli o bambini. In queste occasioni infatti l’emozione perde le sue connotazioni egoistiche, tanto antiestetiche e poco femminili. La madre che tira fuori gli artigli per difendere la prole è una fiera e nobile tigre, la donna che alza la voce per difendere i suoi diritti è una gallina starnazzante.Il messaggio è forte e chiaro: non c’è via di scampo.La donna deve essere competitiva e realizzata nel lavoro, nonostante la disoccupazione. E allo stesso tempo deve essere una brava madre, perché la natalità è in calo, scegliendo per la gravidanza i tempi giusti, perché dopo i quaranta rischia di essere troppo vecchia. E come se non bastasse, si pretende il sorriso, il buon umore, l’allegria.Una vera donna ha sempre il sorriso sulle labbra, sa comunicare, sa farsi apprezzare, è sicura di sé e in grado di difendersi. Piagnucolare è vietato.Timidezze, complessi, insicurezze, tutto un bagaglio di eventualità inevitabili che sempre sono esistite e sempre esisteranno, non sono più permesse. Bisogna raggiungere la Salute, un perfetto equilibrio psicofisico composto da una psiche muscolosa in un corpo intelligente. Bisogna crescere, maturare, inseguire di corsa un miraggio irraggiungibile e splendente di forza e di bellezza, ma anche di stupido consumismo. Tutto questo genera una quantità consistente di rabbia. Purtroppo, rifiutare valori condivisi e massicciamente propagandati non è facile. Di conseguenza, questo sentimento non viene riconosciuto o non viene accettato, e provoca malesseri più o meno gravi. Può anche semplicemente trasformarsi in lacrime, tristezza, avvilimento. Non è facile riconoscerla dietro i sintomi della depressione o di altri disturbi. Eppure spesso si tratta di rabbia, resa socialmente accettabile.La rabbia c’è, anche se non si vede.Antonella, PG


01 Gen 2008 § Arnaldo ha detto...

Abbracciare con lo sguardo
il vasto panorama che
si estende dinnanzi
ai nostri occhi di viaggiatori
acrobati saltimbanchi
Mai stanchi di cogliere
l’incantesimo di colori
ed emozioni sempre nuove
andiamo e nello stesso istante
ritroviamo un atomo chiedendoci
che cosa sia la vita
se non l’esaltazione d’un’azione svoltasi
nel tempo e nello spazio oltrei confini onirici e…
Hai mai notato che nell’esame
o nel compito svolto ciò che
t’appariva poco prima
ha un altro voltoe si è aperto un libro
Intonse quelle pagine,
non l’avevamo neppure notato,
se ne giaceva solo tra molti
altri nella scansia nel ripiano in salotto
Stracci di nubi in cielo
apportatrici di pioggia o è il sole
tuo compagno di viaggio
parlo alla mia anima presente nel loco.
I giocattoli stanno assumendo
una posizione diversa da quella
che avevi visto e nella soffitta
o nella buia cantina un sorcio
addormentato così semplicemente
ma che credevi morto, navi ancorate
nel porto, cisterne colme di vinotracannato e tolto.
Molte cose si hanno da dover decifrare
in questo mare che più azzurro
non si crede possa esistere,
in quelle onde tsunami.
Orchestrali con i loro spartiti
sui leggii hanno iniziato un concerto
ma nessuno è presente e la corrente
dei pensieri sale leggera e una bianca vela
è indirizzata verso l’oceano della conoscenza.
Arnaldo Cuccu - Cagliari

giovedì 10 maggio 2007

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