parole e immagini



Fin da bambini abbiamo imparato o meglio avremmo dovuto imparare, a sviluppare una delle facoltà di giudizio apparentemente più semplici e ad emettere con sufficiente sicurezza la sentenza: « Mi piace - Non mi piace ».

Ben altre difficoltà comporta esprimere un giudizio di “ bello – non bello ” per le implicazioni di ordine estetico-filosofico-culturali insite nella valutazione del “bello” come “intrinseco-oggettivo-soggettivo.”

L’empatia è un’altra facoltà primordiale ereditata alla nascita ma quante persone possono dichiarare di averla nutrita abbastanza da svilupparla fino a “ viverla pienamente” nei rapporti quotidiani?

Dell’esattezza o meno di un nostro giudizio empatico si può trovare conferma solo nella sincerità di chi abbiamo davanti o un flebile riscontro nel suo comportamento reale (non filtrato da una nostra interpretazione). Se l’empatia non è matematica, se le conclusioni non sono certe, se può lasciare dubbi o procurarne nuovi, si può affermare che serva a qualcosa? Il ‘quanto serve’ è direttamente proporzionale a due fattori:

1. quanto ci interessa sviluppare e arricchire le nostre capacità di interrelazione nei rapporti interpersonali.
2. quanto ci interessano ‘gli altri’

Per saperne di più, per utilizzare le immagini come esercizio e dare una mano agli ‘”altri” lavorando su se stessi, percorrete il sentiero verso il faro, salite sulla barca e seguitemi.

Se preferite semplicemente navigare nel mare dei colori, siete e sarete comunque benvenuti.


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Ombre Luci Sfumature




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Immagine=sensazioni + stato d'animo/atteggiamento
la variabile fondamentale della formula siete Voi stessi.
Ghost

lunedì 14 maggio 2007

Immagine-Immaginazione e Sartre

2 Luglio 2007

Immagine-Immaginazione e Sartre
di Michele

Il lavoro sulla trascendenza La Transcendance de l’Ego, pubblicato nel 1936 costituisce lo sfondo necessario alla piena comprensione del pensiero di Sartre, e in particolare, delle questioni dell’immagine e dell’emozione.
Proprio all’immagine il filosofo dedica due importanti lavori: Imagination (1936) e Imaginaire (1940).
Il primo testo è dato alle stampe nel 1936, ma Sartre lo presenta già nel 1926 come tesi per conseguire il diploma all’Ecole Normale Superieure. L’elaborazione dello scritto avviene sotto la direzione di Henry Delacroix (1873-1937), allievo di Victor Brochard (1848-1907), ed era considerato, in quegli anni, uno dei massimi pensatori francesi. Già egli, prima del suo allievo, aveva avviato una riconsiderazione della questione sull’immagine, che partiva dalla convinzione di dover spogliare l’immagine del suo contenuto sensibile. Una posizione questa, che venne in seguito ripresa da Sartre, nell’ottica di una prospettiva fenomenologica, proprio su invito dello stesso Delacroix, che negli anni Trenta aveva fondato la collana Nouvelle Encyclopedie Philosophique per la casa editrice Alcan, e aveva suggerito al giovane allievo di riprendere il materiale della tesi sull’immaginazione e di pubblicarlo sulla rivista. In realtà però solo una parte dell’elaborato venne data alle stampe nel 1936, quella cioè, che si occupava criticamente delle diverse teorie sull’immagine, mentre il resto fu pubblicato nel 1940 in un altro lavoro, con il titolo di Imaginaire. La questione dell’immagine viene affrontata in Imagination, che appare come una sorta di osservatorio dei risultati degli studi psicologici influenzati dal positivismo, e delle influenze che su di essi avevano avuto i grandi sistemi metafisici del passato. I risultati di queste ricerche erano stati raggiunti senza mai mettere in dubbio un postulato fondamentale, che l’immagine fosse una copia delle cose. Il giovane filosofo era invece interessato a lavorare su questo postulato sotto una spinta nuova, quella della fenomenologia, che aveva conosciuto a Berlino tra il 1933 e il 1934, e proprio da questo studio aveva maturato la convinzione che fosse possibile un ripensamento del concetto di immagine. Imagination rappresenta un intreccio storico e filosofico delle teorie che in quegli anni si costruivano attorno alla questione dell’immagine, e che così com’erano, non potevano sciogliere il nodo che avrebbe portato a far chiarezza sulla distinzione tra immagine e percezione, l’ostacolo che non permetteva di scoprire la vera natura dell’immagine. Il compito di Sartre in questo lavoro è proprio quello di passare in rassegna tutte le teorie più importanti, e dimostrare come queste poi, partendo da strade diverse si fermino sempre allo stesso ostacolo, al contenuto sensibile dell’immagine, senza mai procedere oltre. Se l’immagine era una copia delle cose, e dunque cosa essa stessa, non si capiva come essa potesse essere simile per natura alla percezione, se ad un certo punto bisognava dimostrare, per necessità di ragionamento, che esisteva una differenza tra i due concetti. La soluzione per la maggior parte dei casi si risolveva ad una questione di intensità di contenuti, ma la vera origine della immagine restava comunque sempre da scoprire, in quanto ad essa si applicavano quelle leggi metafisiche che pretendevano di regolare a priori gli effetti dell’immagine nel mondo fisico. Le ricerche compiute durante gli anni berlinesi aiuteranno il filosofo a disfarsi della psicologia positivista e di quella che Sartre riteneva la metafisica “ingenua”. Partendo dalla critica ai maggiori psicologi e pensatori del suo tempo, il filosofo analizzerà le diverse posizioni e rileverà quelli che, secondo lui, erano stati i difetti metodologici che avevano ostacolato il buon fine delle ricerche.
La realizzazione di una psicologia fenomenologica dell’immagine, che verrà poi esplicitata in Imaginaire, sembra avere il compito di mostrare, attraverso l’attività intenzionale della coscienza che il filosofo eredita da Edmund Husserl, cosa accade quando si immagina: durante l’atto stesso di immaginare, all’interno della coscienza, non interviene nessuna modifica. Non c’è nessun Io che la personalizza, cioè che identifica quella immagine come appartenente al soggetto che la sta pensando, ma, come concluderà il filosofo in Imagination, si evidenzia una caratteristica importante per la coscienza, la sua spontaneità. Una coscienza che immagina lo fa spontaneamente, una coscienza empirica invece non sembra mostrare questa particolarità. Un risultato, che per Sartre, non era stato possibile osservare attraverso i risultati della psicologia sperimentale, a causa evidentemente del metodo utilizzato per la comprensione della natura dell’immagine. L’analisi di queste osservazioni doveva proseguire con lo studio della coscienza immaginativa, in particolare nel lavoro del 1940, soffermandosi sul momento in cui la coscienza si getta nel mondo, superando se stessa, e scoprendo così l’unico modo per essa di cogliere il mondo. Alcuni studiosi, come Gilbert Durand, accusarono Sartre di essersi certamente imbattuto in una nuova analisi dell’immaginazione, ma di non aver mantenuto la promessa iniziale, cioè di rivelarne la natura coscienziale. In realtà leggendo le ultime pagine di Imagination, pubblicato nel 1936, Sartre arriva alla conclusione che l’immagine è un 'certo tipo di coscienza', e della questione promette di parlarne altrove, in Imaginaire, dove per Durand sembra che il filosofo non abbia mantenuto la promessa. L’obiettivo iniziale di Sartre, nel 1936, era comunque, quello di restituire all’immagine una veste dignitosa, che non la facesse apparire come una sterile copia dei dati sensibili, ricollocandola all’interno della coscienza. Alla luce della lettura e dell’analisi dei lavori degli anni Trenta, si può sostenere con forza che il giovane filosofo ha raggiunto quest’obiettivo. C’è anche da considerare che prima che Sartre completasse Imagination, il dibattito sulla questione era confinato ai risultati delle ricerche e agli studi elaborati alla fine dell’Ottocento, e quindi si deve ritenere che i suoi lavori sulla coscienza, sull’immagine e sull’emozione, anche per il fatto di aver reso suscettibile la definizione di immagine, abbiano reso possibile lo spostamento del confine degli studi precedenti e l’esistenza di diverse forme di coscienza. La psicologia, la prima disciplina a riprendere il discorso sull’immagine, e anche la filosofia, non avevano dubbi che essa fosse la copia di qualcosa, restava però da capire come questa imitazione del sensibile nascesse e di che consistenza fosse, ma soprattutto in quale parte della coscienza fosse collocato il “meccanismo” dell’immaginazione. Tutti questi interrogativi scatenarono il dibattito che continuò ad agitarsi, soprattutto in Francia, sino agli inizi del secolo passato. La teoria, che Sartre sviluppava in Imagination prima e in Imaginaire poi, si distaccava completamente da quelle dell’epoca sia in campo filosofico, ma soprattutto in quello scientifico, come sostiene anche Sara Vassallo, studiosa di psicologia:
''la théorie que Sartre développe dans l’Imaginaire n’a rien à voir avec les formalisations de la Gestalt en vigueur à l’époque et ne partage pas non plus les positions de Bachelard. Elle constitue tout d’abord une prise de position à l’encontre des thèses empiristes et associationnistes et obéiet à la pensée deHusserl ''. (S.Vassallo, Sartre et Lacan. Le verbe etre entre concept et fantasme, L’Harmattan, Paris 2003).
Forse doveva essere davvero così visto che, per Gaston Bachelard contemporaneo di Sartre, insegnante di Fisica nei collegi e successivamente studioso di Storia e Filosofia della Scienza, più che di immaginazione, sarebbe stato più appropriato parlare di poetica dell’immaginazione: se è vero che l’uomo è un corpo, l’immagine è all’origine dell’esperienza umana, infatti, ''mentre nell’animale l’istinto si traduce in azioni e comportamenti, nell’uomo si trasforma in immagine''(G.Bachelard, La terra e la forza delle cose, Red edizioni, pag. 9).

Michele

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