parole e immagini



Fin da bambini abbiamo imparato o meglio avremmo dovuto imparare, a sviluppare una delle facoltà di giudizio apparentemente più semplici e ad emettere con sufficiente sicurezza la sentenza: « Mi piace - Non mi piace ».

Ben altre difficoltà comporta esprimere un giudizio di “ bello – non bello ” per le implicazioni di ordine estetico-filosofico-culturali insite nella valutazione del “bello” come “intrinseco-oggettivo-soggettivo.”

L’empatia è un’altra facoltà primordiale ereditata alla nascita ma quante persone possono dichiarare di averla nutrita abbastanza da svilupparla fino a “ viverla pienamente” nei rapporti quotidiani?

Dell’esattezza o meno di un nostro giudizio empatico si può trovare conferma solo nella sincerità di chi abbiamo davanti o un flebile riscontro nel suo comportamento reale (non filtrato da una nostra interpretazione). Se l’empatia non è matematica, se le conclusioni non sono certe, se può lasciare dubbi o procurarne nuovi, si può affermare che serva a qualcosa? Il ‘quanto serve’ è direttamente proporzionale a due fattori:

1. quanto ci interessa sviluppare e arricchire le nostre capacità di interrelazione nei rapporti interpersonali.
2. quanto ci interessano ‘gli altri’

Per saperne di più, per utilizzare le immagini come esercizio e dare una mano agli ‘”altri” lavorando su se stessi, percorrete il sentiero verso il faro, salite sulla barca e seguitemi.

Se preferite semplicemente navigare nel mare dei colori, siete e sarete comunque benvenuti.


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Ombre Luci Sfumature




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lunedì 14 maggio 2007

Immagine in Kant

Immagine in Kant
di Bruno R.


Se Baumgarten instaura i primi rapporti intellettivi con il mondo della bellezza estetica, è pur vero che un mutamento epistemologico essenziale interverrà quando l’immagine sarà promossa al rango di entità rappresentativa autonoma e primaria, e le verrà conferita, in gradi diversi, una funzione dinamizzante e generatrice sia per le rappresentazioni sensibili sia per quelle intelligibili. Questa «rivoluzione copernicana» delle rappresentazioni, messa più volte in cantiere, per esempio durante il Rinascimento con le dottrine dell’immaginazione creatrice, trova la sua prima espressione strutturale nella teoria dell’immaginazione trascendentale ad opera di Kant, che, appunto, assegna all’immagine uno statuto trascendentale situandola nel cuore delle operazioni intellettuali. È con la Critica del Giudizio, datata 1790, che Immanuel Kant, insoddisfatto delle tesi proposte dal Baugmarten e da buona parte del razionalismo tedesco (ma anche dall’empirismo britannico, che vede in David Hume la forma più radicalizzata), ribalta e chiarisce la posizione dell’immagine. Il trascendentalismo dell’immagine attinge con Kant a due esiti concorrenziali: il primo è la teoria dello schematismo percettivo, il secondo la teoria della simbolizzazione analogica all’interno della riflessione dell’Assoluto. Nel primo caso, secondo Kant, prima che un contenuto appaia attraverso i sensi, preesistono, nella facoltà rappresentativa, dei modi di appercezione che consentono di strutturare il fatto fenomenico. La struttura figurativa del soggetto predetermina così il mondo sensibile, che non può essere mondo se non a patto di sottomettersi, negli atti intellettuali della conoscenza, all’ordine prestabilito di una funzione immaginativa. Per cui la percezione è appunto una costruzione alla quale contribuiscono delle immagini, immagini che a loro volta costringono l’intelletto a rinunciare ad applicare direttamente i suoi concetti alle intuizioni empiriche.


«Questo schematismo del nostro intelletto […] è un’arte nascosta nelle profondità dell’anima umana: difficilmente impareremo mai dalla natura le vere scaltrezze di quest’arte, in modo da poterle presentare senza veli» [Kant, Critica della ragion pura, I, II, I, Adelphi, Milano 1976, p. 221]


Con tale prospettiva, la matrice rappresentativa che prefigura l’intuizione empirica può assomigliare a un «monogramma», che non comprende ancora, a titolo di immagini, determinazioni empiriche particolari. Lo schema, perciò, non corrisponde tanto ad un originale, da esemplare per l’oggetto, ma si rifà piuttosto ad una sorta di prototipo generico, una base dalle molteplici applicazioni concrete. L’immaginazione, a tal punto, diviene così un mero supporto dell’intelletto, un punto di appoggio nella sintesi trascendentale, nella quale, il processo cognitivo ha però, in un certo senso, privato l’immagine della sua vitalità e generatività a beneficio di una funzione più logistica. Dopo essere intervenuta, tramite lo schematismo, nella costituzione della conoscenza oggettiva del mondo offerto ai sensi, con la seconda teoria della simbolizzazione analogica l’immaginazione apre le porte all’Assoluto fornendogli un contenuto nuovo: rappresentazioni analogiche che trascendono il quadro dell’esperienza empirica. In breve, le immagini, dando un contenuto figurativo a ciò che sfugge all’esperienza dei sensi, permettono che si alimenti un pensiero che non coglie contenuti determinanti, paradigmatici, ma esprime invece contenuti che per lo meno danno la possibilità di tradurre ciò che possiamo dimostrare con un senso univoco. Quindi, l’immagine pur riducendosi dal lato della percezione ad una funzione più logica che figurativa, prende tuttavia posto nel pensiero del soprasensibile, che assicura la formazione di contenuti astratti dove i concetti non sempre riescono ad attingere. Il successo delle teorie di Kant si dimostra nella facoltà (del processo di schematizzazione e di simbolizzazione dell’immagine) di avviare un meccanismo di «condensazione particolare», una «“intensificazione” dell’intuizione sensibile», che agisce come una sintesi qualitativa dell’esperienza, atta ad integrare il particolare con il generale e quindi in una identità.


E sono, quest’ultime parole di Cassirer[1] che, sulla scorta del trascendentalismo, assicurano forse l’approfondimento kantiano più originale. Ernst Cassirer mette in particolare evidenza le simbolizzazioni operanti nel mito, nell’arte e nel linguaggio, che sono altrettante vie espressivo-culturali di una messa in scena del mondo. «Sotto questo punto di vista, il mito, l’arte e così il linguaggio e la conoscenza divengono simboli: non già nel senso che essi designino sotto forma di immagine, di allegoria che allude e che spiega una realtà precedentemente data, bensì nel senso che ciascuna di queste forme crea e fa emergere da se stessa un suo proprio mondo di significato. In esse si manifesta l’autospiegamento dello spirito: e soltanto per mezzo di esse sussiste per lui una “realtà”, un essere determinato, organico. Non imitazioni di questa realtà, ma organi di essa, sono ora le singole forme simboliche, in quanto solo per mezzo loro il reale può essere assunto a oggetto della visione spirituale e quindi come tale divenire visibile». Attraverso codeste «forme della ostensibilità», codesti atti di «ideazione simbolica», l’uomo interpone originalmente, tra sé e il mondo, forme che faranno da tramite ad un certo numero di varianti della totalità dell’esperienza, che già contribuiscono a darle un senso. Sotto questo aspetto, la rappresentazione per immagini non si rifà più a una forma pura e si comporta davvero come mediatrice di senso, nella veste di una “pregnanza simbolica” dell’esperienza prima. Ecco perché, dunque, la coscienza simbolica si rivela particolarmente presente e operante nella coscienza religiosa, che rappresenta il primo modo di «apprensione» (Kant) della realtà. Le rappresentazioni astratte della scienza o della filosofia si presentano se mai come un superamento di questa prima struttura simbolica, una sorta di trattamento analitico per esteso di ciò che era stato trattato, nell’esperienza religiosa, in modo sintetico e concentrato. Con tali assunzioni possiamo iniziare a comprendere come l’immagine asservisce il dibattito principale dell’Estetica, lavorando dal primo giorno di nascita alla sostanza della rappresentazione e dell’immaginazione attraverso il «sensibile». Tali tematiche costringeranno la filosofia a rivisitare e correggere in visione dell’arte le appropriazioni ontologiche sul filo della «somiglianza», argomento che estenderà le discussioni filosofiche spingendosi fino alla piena assegnazione dell’autonomia da parte dell’immagine.


Bruno R.


[1] E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, I. Fenomenologia della conoscenza, La Nuova Italia, Firenze 1966

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