Invidia e Malocchio
6 Luglio 2008
Invidia e Malocchio
di Cristina D.
La scissione fra invidia e malocchio è oggi per noi un dato culturale acquisito. La prima è etichettata come stato psicologico, vizio o difetto morale, la cui esistenza è comunemente riconosciuta e accettata, anche perché subita o provata. La vita stessa, si può dire, ne offre continui attestati di verifica ‘empirica’. Il malocchio (o fascinazione o fattura)[1] è invece considerato momento di folclore, patologia sociale, superstizione popolare. Di conseguenza i due fenomeni sono oggetto di studio di discipline diverse: semplificando si può constatare che l’invidia è appannaggio dell’economia, il malocchio interessa più gli antropologi, gli etnostorici, gli studiosi di costumi e tradizioni popolari, ma come nel caso del binomio astronomia/astrologia (oggi percepito perlomeno dagli astronomi come antitetico) non è sempre stato così.
Come scrive De Martino “l’alternativa fra ‘magia’ e ‘razionalità’ è uno dei grandi temi da cui è nata la civiltà moderna”. E ancora “la consapevole alternativa fra magia e razionalità non appartiene tuttavia alla ‘magia naturale’ del Rinascimento, ma piuttosto alla successiva età illuministica: e infatti alle soglie di questa, noi ritroviamo nell’inauguratore della nuova epoca, Francesco Bacone, la laicizzazione completa del ‘fascinare’ e dello ‘stregare’, intesi ormai come mero rapporto psicologico”.
Problemi di conciliazione fra razionalità illuminata e credenze magiche di vario tipo non erano del tutto estranei alla sensibilità romana, basti pensare a tutto il dibattito sulla divinazione di cui ci testimonia in modo esemplare il De divinatione di Cicerone, in cui l’Arpinate si attestava su posizioni scettiche. Ma per quanto concerne l’invidia il problema non era sentito come tale: in quest’ambito si può dire che non esisteva nessun gap paragonabile a quello attuale fra i concetti di invidia e malocchio. L’invidia sembra considerata come forza e potenza quasi infernale, inesorabile e irresistibile, a meno di particolari accorgimenti e pratiche per stornarla, tanto che neanche il ‘laico’ Cicerone osava relegarla fra le aniles superstitiones.
[1] L’interrelazione fra tali concetti è chiarita così da De Martino: «Con questo termine [fascinazione] si indica una condizione psichica di impedimento e di inibizione, e al tempo stesso un senso di dominazione, un essere agito da una forza occulta, che lascia senza margine l’autonomia della persona, la sua capacità di decisione e di scelta. Col termine affascino si designa anche la forza ostile che circola nell’aria, e che insidia inibendo costringendo. (…) La fascinazione comporta un agente fascinatore e una vittima, e quando l’agente è configurato in forma umana, la fascinazione si determina come malocchio, cioè come influenza maligna che procede dallo sguardo invidioso (onde il malocchio è anche chiamato invidia), con varie sfumature che vanno dalla influenza più o meno involontaria alla fattura deliberatamente ordita con un cerimoniale definito, e che può essere – ed è allora particolarmente temibile – fattura a morte». Cfr. E. DE MARTINO, Sud e magia, Milano 2001 (= Milano 1959), p. 15.
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