parole e immagini



Fin da bambini abbiamo imparato o meglio avremmo dovuto imparare, a sviluppare una delle facoltà di giudizio apparentemente più semplici e ad emettere con sufficiente sicurezza la sentenza: « Mi piace - Non mi piace ».

Ben altre difficoltà comporta esprimere un giudizio di “ bello – non bello ” per le implicazioni di ordine estetico-filosofico-culturali insite nella valutazione del “bello” come “intrinseco-oggettivo-soggettivo.”

L’empatia è un’altra facoltà primordiale ereditata alla nascita ma quante persone possono dichiarare di averla nutrita abbastanza da svilupparla fino a “ viverla pienamente” nei rapporti quotidiani?

Dell’esattezza o meno di un nostro giudizio empatico si può trovare conferma solo nella sincerità di chi abbiamo davanti o un flebile riscontro nel suo comportamento reale (non filtrato da una nostra interpretazione). Se l’empatia non è matematica, se le conclusioni non sono certe, se può lasciare dubbi o procurarne nuovi, si può affermare che serva a qualcosa? Il ‘quanto serve’ è direttamente proporzionale a due fattori:

1. quanto ci interessa sviluppare e arricchire le nostre capacità di interrelazione nei rapporti interpersonali.
2. quanto ci interessano ‘gli altri’

Per saperne di più, per utilizzare le immagini come esercizio e dare una mano agli ‘”altri” lavorando su se stessi, percorrete il sentiero verso il faro, salite sulla barca e seguitemi.

Se preferite semplicemente navigare nel mare dei colori, siete e sarete comunque benvenuti.


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Ombre Luci Sfumature




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La formula del blog :
Immagine=sensazioni + stato d'animo/atteggiamento
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Ghost

lunedì 14 maggio 2007

Mimesis. «Essere a immagine di»

Mimesis. «Essere a immagine di»
di Bruno R.
L’essere un’immagine implica in partenza far richiamo ad un referente a cui l’immagine rimanda. Questo problema rappresenta un punto cardine della formazione dell’immagine come organismo autonomo, perché presenta a sé i fondamentali attributi che percorrono lo statuto dell’immagine proiettata verso il mondo; mondo a cui essa fa carico e in cui essa si riproduce. In altri termini, la stessa definizione di immagine comporta una dipendenza dall’altro da sé, dipendenza da un modello nel registro di una rassomiglianza morfologica. La qualità e la verità del contenuto di un’immagine sono dunque condizionate da un raffronto fra l’immagine-copia e la forma di riferimento, che consente di stabilire se la copia è, da un lato, immagine, dall’altro, immagine più o meno somigliante.
«Nel momento in cui diviene immagine, una forma è chiamata a esistere per una seconda volta: è, nello stesso tempo, Medesima ed Altra, perché dev’essere la propria immagine somigliante ma anche essere sufficientemente distinta dal modello, per poter apparire come l’immagine e non come l’essere originario»
[J.-J. Wunenburger, Filosofia delle immagini, Giulio Einaudi Editore, Torino 1999, p. 137].
Per cui l’immagine è sempre inseparabile da una comprensione in termini di filiazione. Essendo «immagine di», essa rimanda inevitabilmente alla propria origine e chiede dunque di essere pensata attraverso il paradigma gnoseologico. Simmetricamente, non si dà immagine se non si riproduce una qualche realtà di idee o di oggetti, cioè se la realtà non esce da sé e non produce altro da sé. L’immagine presuppone pertanto, inizialmente, che l’essere, il reale, non sia unico ma possa dar luogo a una duplicazione, almeno della sua “forma”. C’è dunque immagine solo quando un essere, oggetto o idea che sia, si riproduce. L’esperienza di un doppio dotato di somiglianza è per l’appunto all’origine mitica dell’immagine. Nella tradizione greca, l’enigma dell’immagine viene sovente associato alla pittura di Apelle, che, grazie ad alcuni tocchi impressi dalla sua mano alla materia, fece apparire la forma stessa di Afrodite. Da allora, il discorso sull’immagine non ha cessato d’interrogare questa sconcertante proprietà dell’immagine, che le consente di riprodurre qualcosa, di replicare il reale, pur essendo altro da esso, e di essere nello stesso tempo assenza o negazione della realtà rappresentata.
Bruno R.

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